italia beer festival chapter 2


Ma alla fine la birra come era?
eccheneso! a me ste degustazioni in cui ti insuffli venti provette da dieci centilitri aiutano solo a rivalutate i cartoni di baffo d'oro che mi sparavo quando il cassismo prese piede a Roma anni fa.
Al quarto assaggio la lingua mi si impasta e non distinguo più una peroni dal tavernello. Tutto assume un mellifluo sapore acidello che mi causa inevitabile mal di stomaco là per là e conseguenze meno raccontabili il giorno dopo.
Insomma avrò assaggiato una decina di prodotti ma le papille gustative hanno iniziato il boicottaggio, lo sciopero e infine l'insurrezione armata già dopo la terza "esperienza gustativa".

indi mi soffermerò più che sulle caratteristiche organolettiche, sulle note organizzative della manifestazione.
il posto è bello. Non lo conoscevo ma mi ha impressionato.
L'architettura fascista dà una pista a tutti. Anche quando un'officina passa dalla produzione di cannoni a quella di sbronzoni. A metterle a posto, le officine farneto, potrebbero diventare il più bel brewpub del regno, ma temo che trasformarle in discoteca sarà più semplice nonché più probabile. Ci fosse stata ancora l'asse, un bel biergarten avrebbe rinsaldato l'alleanza, ma le speranze che Alemanno sia sensibile se non alle proprie origini, almeno al proprio nome sono rarefatte...

Venendo a noi, senza punto esclamativo che sennò il mio neofascismo latente potrebbe risalire in auge con perdita inevitabile di buona parte dei miei già poco numerosi lettori, le modalità di ingresso alla festa mi hanno lasciato assai perplesso.
Un'unica cassa aperta e gestita da personale non proprio smart, ha determinato una fila degna del goa il sabato sera.
Discutibile anche la decisione di imporre una sorta di barbatruco per cui per bere dovevi "comprare il bicchiere" e pagarlo otto euro (!). Un ulteriore fila, assai più contenuta ma a quel punto intollerabile, consentiva di acquistare i "gettoni" che davano diritto all'assaggio da 10 cl a 1 euro l'uno.

Dopo tanta attesa eccoci nel vivo dell'evento.
Si chiama italia beer festival, ma i grandi assenti della manifestazione sono proprio i birrifici artigianali italiani. Della cinquantina di realtà degne di nota sorte negli anni si sono presentati in maniera credibile solo una decina e tutti o quasi dell'area romana. Le birre spinate, non sempre in maniera impeccabile, erano in larga parte sì interessanti ma belghe, cruche ecc ecc.
Gli stand più affollati sono risultati quelli gestiti dai pub, beer shop o associazioni dell'urbe fatale, che della birra chiacchierano, la birra vendono e talvolta grazie alla birra si arricchiscono ma di certo la birra non producono.
Nulla di male, ma se ero venuto per farmi un'idea sullo stato del movimento in Italia, me ne sono tornato a casa dopo aver passato una piacevole serata facendo quattro chiacchiere con il mondo pubbaro romano che già frequento con fin troppa assiduità.

ahimè per quelle poche realtà che invece eran presenti e non conoscevo devo dire che era meglio avessi continuato a ignorarne l'esistenza. Si diceva un gran bene del birrificio del ducato ma le due birre provate (un imperial stout e un'ale troppo simile alla re ale) non mi hanno affatto colpito. Colpito e affondato invece dalla presunta lager (probabilmente una pale ale) del sierra nevada. Birrificio mai sentito e di cui non ho capito manco troppo bene la provenienza Probabilmente più che lo stile della birra, lager, era riferito al luogo dove merita di essere spedito il mastro birraio per riflettere in tutta tranquillità sulla vita e sul destino.

Altri giudizi per i motivi già descritti sopra non ne dò, se non sulla da poco nata e già molto vituperata associazione degustatori di birra, che organizzava il tutto.
Se vuole rigettare al mittente il mare di critiche che gli piovono addosso e conquistarsi la fiducia dei meno prevenuti deve cambiare registro.
Il gran numero di persone che ha partecipato a questa tre giorni, testimonia che esiste un interesse verso la birra artigianale solo un paio di anni fa inimmaginabile. C'è la possibilità di organizzare, ne esiste ora la prova provata, eventi che coinvolgano tutte le realtà italiche e che si rivelino anche un discreto successo commerciale.
Se quasi tutti i produttori posti a più di 200 km da Roma hanno deciso di "pisciare" l'IBF i motivi possono essere solo due.
O i produttori sono dei coglioni incapaci di promuovere il proprio lavoro, oppure le condizioni poste dagli organizzatori erano insostenibili. Non conoscendo i termini economici non mi pronuncio ma un sospetto ce l'ho.
Ai posteri l'ardua sentenza. Ai contemporanei invece l'invito a crederci fino in fono e testare la possibilità di tirare su un evento che possa, non dico sembrare il GBBF londinese, ma almeno scrollarsi di dosso l'aria da rimpatriata fra le mura aureliane che questo IBF aveva.

Commenti

Omar ha detto…
Bellissimo articolo. Ma ricorda, quando tu e tuoi soci patirete in eterno nel Jahannam per esservi ingozzati con l'alcol bandito dal Profeta, noi puri ci ritroveremmo nel Janna per godere di piaceri che voi infedeli non potete neanche immaginare... altro che festa della birra.

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