l'ultimo stalinista


La cosa che più lascia increduli della firma napolitana al decreto vergogna sono le motivazioni addotte dal capo dello stato. Nella lettera di risposta a due cittadini che chiedevano lumi sulle ragioni dello scandaloso autografo, il presidente infila una serie di mostruosità logiche politiche e costituzionali che gli varrebbero più che l'impeachment, la qualifica di incapace di intendere e di volere.

Leggo che i principali costituzionalisti italiani tacciono per non mettere in imbarazzo Beghelli. Altri, appena più coraggiosi, fanno a pezzi il decreto (che nessuna persona abbia sostenuto l'esame di costituzionale può difendere), ma con messneriana capacità di arrampicarsi sugli specchi, spiegano che non bisogna tirare in ballo il vecchio stalinista.

A tutti gli osservatori appare curioso che proprio un presidente di sinistra, un comunista di acciaio, si sia dimostrato il più fedele alleato di Silvio nel progetto autoritario che caratterizza il governo berlusconiano.
Tale bizzarria si svela non appena si entra nella psicologia del nostro, per il quale la ragion di stato deve sempre prevalere su qualsiasi altra considerazione. Dove la ragion di stato si identifica con il moloch burocratico che domina la scena politica.
Sia esso il partito comunista sovietico quando si tratta di invadere l'Ungheria nel 56, oppure la corte berlusconiana mentre calpesta la costituzione formale e materiale in Italia nel 2010.
Per lui, mutatis mutandis, non ci sono grandi differenze. Il Partito, meglio se comandato da una personalità strabordante e psicopatica, è l'unico attore capace di perseguire "il bene collettivo", pertanto non si può frapporre ostacoli alla sua azione per definizione "giusta".
L'intera presidenza napoletana è permeata dalla ricerca dell'intesa con il caimano. Di fronte a ogni strappo democratico, dal lodo Alfano al processo breve, mai si è avvertita la volontà da parte del quirinale di difendere la legalità costituzionale. Un giustificazionismo verso l'azione governativa, anche quando questa collide frontalmente con la carta, che si configura come eversivo, in quanto incompatibile con il ruolo assegnato al Presidente della Repubblica.
Per Napolitano la stella polare non è la difesa della costituzione, bensì evitare il conflitto istituzionale, anche attraverso un costante e deferente inchino verso palazzo Chigi. Come se la prima carica dello stato altro non fosse che il maggiordomo del presidente del consiglio. Un ruolo puramente decorativo simile a quanto previsto per i monarchi in democrazie assai più solide della nostra, che non trova fondamento alcuno nel nostro sistema.

In presenza poi dell'emergenza democratica rappresentata dal barbaro Berlusconi, la passività complice di Napolitano rischia di sprofondare il paese verso un baratro senza ritorno.

Aveva le sue buone ragioni Stalin, figurarsi se non le ha Silvio.

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