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il sabotatore

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C'è in buio a mezzogiorno un passaggio illuminante, dove il detenuto nelle prigioni staliniane viene interrogato dal suo inquisitore e, sapendo entrambi che si tratta di un processo farsa, finiscono a discutere del boicottaggio come capo di accusa utilizzato in quasi tutti i processi. Capo di accusa particolarmente odioso, perché rivolto verso operai e funzionari che si adoperano al massimo delle loro possibilità, per anche 16 ore al giorno sette giorni alla settimana, per realizzare il socialismo nelle fabbriche. Il detenuto, commissario del popolo, comunista della prima ora ed eroe della rivoluzione, non si fa illusioni, la macchina del terrore ha lui stesso contribuito a fondare e quindi la conosce in ogni suo ingranaggio, ed è pronto a confessare tutti i crimini mai commessi. Ma sul sabotaggio non transige. Passi l'alto tradimento, lo spionaggio, l'intelligenza con il nemico interno ed esterno e perfino ammettere l'accusa di aver complottato per uccidere il comp

Virus Attack!

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Virale è da tempo un aggettivo che si utilizza per descrivere alcuni fenomeni che avvengono sul web. Quando un virus tradizionale incontra i social il  significato assume tutto un altro valore e quello che sapevamo sulle epidemie diventa improvvisamente obsoleto. La macchina della paura trova finalmente un oggetto sul quale concentrare i propri sforzi, imponendosi agli altri temi caldi, che vengono immediatamente ridimensionati: il terrorismo soprattutto islamico, l’immigrazione, il fascismo perennemente alle porte (questo è l’evergreen della sinistra radicale, che però meriterebbe una trattamento a sé stante). La politica che alimenta ed  è alimentata dalla macchina della paura, vede un'eccezionale occasione per guadagnare visibilità, opportunità ancora più ghiotta per chi ha costruito la propria fortuna elettorale sul cavalcare le angosce razionali e irrazionali che albergano nella società. L’epidemia che viene da lontano, la Cina alla fine è una versione cromatic

il sindaco di Montona

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In pochi sanno che l’ultimo campione del mondo italiano di formula 1 sia Mario Andretti. Sebbene la sua vita sembrerebbe una base eccellente per un romanzo, e uno si immagina che sia ospite d’onore in ogni manifestazione motoristica in questo paese, in realtà il suo nome è ignoto ai più. Anzi, solitamente quando si parla di formula uno, si cita come ultimo campione nazionale Alberto  Ascari, che trionfò nel 1953 l'ultima volta. Una rimozione bizzarra che dura da decenni. Ancora oggi, nonostante sia di casa nel Circus non lo si sente mai intervistato da un’emittente italiana che sia una. Nelle trasmissioni motoristiche, dove ogni pilota con due gare con la rossa è ospite fisso, Andretti che guidò anche Alfa Romeo e Ferrari, non si è mai visto. Io il suo nome la prima volta lo sentii nel '91. Non ero un grande appassionato di giochi di corse sulla mia venerata Amiga 500, ma ero un lettore incallito di  the games machine , una rivista che chi ha la mia età

Istinti di base dopo tanti anni

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Era l’autunno del 1992 quando uscì con grande scandalo Basic Instinct. Avevo quattordici anni, anzi ad essere onesto ne avevo tredici e il limite di età per entrare in sala era quattordici, ma con sprezzo del pericolo e grave attentato alla legalità, che quell'anno andava molto di moda, andai lo stesso al cinema e la feci pure franca. Non si parlava di altro all'epoca: la scosciata senza slip della Stone contendeva lo scettro di notizia dell’anno all'avviso di garanzia a Craxi. A me però la celebre scena non colpì affatto, non si vedeva nulla. E, cosa ancor più grave, chi fosse l’assassino non mi si chiarì mai del tutto. Direi che data la mia ingenuità sessuale, capii molto poco del film in assoluto. Lo ho rivisto ieri con occhio sicuramente più smaliziato e con una certa soddisfazione devo dire che il mio senso estetico era già sufficientemente sviluppato a tredici anni. Il film è proprio brutto, confuso, lento. Le scene di sesso sono decisamente spinte e immagino all&

Once upon a time Tarantino

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La mia teoria, che prevede pochissime eccezioni, praticamente un paio, è che chi lavora nell'ambito creativo, ovvero scrittori, registi, musicisti, artisti in generale, è che se  avrà qualcosa di interessante da dire, lo dirà nei primi anni della carriera, per poi  continuarlo a ripetere fino a quando avrà stancato pure  l'ultimo dei suoi seguaci. Motivo per cui difficilmente leggo più di un libro dello stesso autore. Tarantino è per me il più importante regista vivente. Mi devo sforzare un sacco per trovare qualcun altro che mi abbia influenzato così tanto, e mi vengono in mente solo i fratelli Coen. Ma non veramente così tanto quanto Quentin. Però neanche lui fa eccezione alla teoria di cui sopra. Tarantino ha detto tutto quello che aveva da dire con Kill Bill. E sono certo lui sia il primo a saperlo. Tutti i film girati dopo, con la parziale eccezione di Django, sono divertissment, giocattolini o giocattoloni, dove il nostro si è divertito a ripetere concetti già esp

Zerocalcare, Roma fa schifo e Ken Shiro

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Zerocalcare è il più clamoroso caso editoriale italiano recente. A me personalmente fa sbellicare dalle risate e chiunque sia nato fra la fine degli anni 70 e  l'inizio degli 80 non può che riconoscersi nell'universo dipinto dai suoi fumetti. Se poi sei nato a Roma e magari a Roma est, dove Zero dimora e ambienta le sue storie ti pare proprio che parli della tua adolescenza o di quella di tanti tuoi coetanei. Personalmente credo di essere fra i suoi più generosi finanziatori, avendo comprato e regalato molti dei suoi romanzi grafici.   Detto questo zerocalcare è anche il Boccasile dei centri sociali. Per chi non lo sapesse Gino Bocasile era il bravissimo artista che disegnava i più celebri manifesti di propaganda fascista.  Quasi tutti le locandine e i flyer dei centri sociali romani sono di Zero, almeno quelli fatti bene. Questo suo aspetto militante pur non essendo taciuto, non è centrale nei suoi fumetti che  quasi mai trattano argomenti politici. D'altronde  

e mica abito qua io!

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Invece Flavio là ci aveva abitato a lungo e solo rileggendo su uno dei mille gruppi nostalgia su facebook i ricordi dei suoi vicini di quartiere e di età, si è accorto quanto la sua vita sia stata diversa da molti degli altri bambini con cui giocava alla pista. Anche all'epoca   l'altra verderocca incuteva timore. E che non fosse come la sua di verderocca, lo aveva capito subito.  Non tanto per lo stradone che le separava, quanto per  le palazzine occupate e poi requisite dal comune e infine assegnate a chi ne aveva diritto. Quando i ragazzini dell 'altra verderocca attraversavano lo via erano spesso rogne. Finiva male e a Flavio non piaceva cosi tanto la violenza. Si azzuffava spesso con i suoi amichetti, le dava e le prendeva, ma  il modo in cui ci si menava dall'altro lato della strada gli faceva paura. Non erano zuffe fra bambini. Con la fine delle scuole dell'obbligo, a verderocca come altrove, le strade si  separavano. Fra chi andava alle superiori e usc